Il giudice per le indagini preliminari ha restituito gli atti al pm Ciro Alberto Savino. L'avvocato che difende Filippo e Manuel Mazzoni: "Loro estranei da tutto. Approfondimenti richiesti poco opportuni perché le risposte ce le abbiamo già da tempo"
Almeno per ora, non ci sarà nessuna archiviazione per Filippo e Manuel Mazzoni, padre e figlio, unici due indagati per il duplice omicidio di Dario e Riccardo Benazzi, i due cugini che il 28 febbraio 2021 furono prima uccisi a fucilate e poi bruciati dentro una Volkswagen Polo, dove vennero trovati carbonizzati, in un campo di Rero, al confine tra Tresignana e Fiscaglia.
Il giudice per le indagini preliminari Silvia Marini infatti, nei giorni scorsi, non ha accolto la richiesta di archiviazione dei due indagati avanzata dalla Procura di Ferrara, restituendo gli atti al pm Ciro Alberto Savino, titolare del fascicolo di indagine, e ordinando ulteriori indagini per far luce e ricostruire quanto accaduto in quei tragici attimi che sono costati la vita alle due vittime.
Nello specifico, richiamando quanto già evidenziato dall’avvocato di parte offesa Denis Lovison nella propria opposizione, il gip del tribunale di Ferrara chiede di effettuare ulteriori accertamenti tecnici, non solo sulla presenza delle tracce di lantanio sulla maglia in cotone nero di Manuel Mazzoni, ma anche al fine di stabilire il numero minimo di soggetti necessari per portare a compimento l’azione successiva all’omicidio, quando i corpi dei cugini Benazzi sarebbero stati presi e sistemati sui sedili posteriori dell’automobile, poi riempita di legni e stracci e data alle fiamme.
“Siamo soddisfatti perché il giudice ha apprezzato le nostre argomentazioni – ha affermato l’avvocato Denis Lovison, che assiste le figlie e la nipote di Dario Benazzi – e ci consente di approfondire i temi che non erano stati sviluppati durante la prima parte delle indagini preliminari e che, secondo noi, possono lumeggiare quei coni d’ombra che avevano determinato la Procura nella sua richiesta di archiviazione. Ciò ci dà l’opportunità di ricercare una verità che ci dà speranza, che è la prima cosa che chiedono le persone offese, che l’avevano quasi smarrita. Quanto deciso inoltre dovrebbe consentirci anche di impostare un processo che ci porti a condannare i responsabili di quanto, delineando le responsabilità ancora prima di arrivare in aula”.
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